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Pagine Italiane, 22. 8. 2012
Il vero problema non è il clima o il riscaldamento globale, ma la Dottrina del Riscaldamento Globale e delle sue conseguenze. Questa dottrina, in quanto insieme di credenze, è un’ideologia, se non una religione. Vive indipendentemente dalla scienza della climatologia. Le sue dispute non riguardano la temperatura, ma sono parte dello “scontro fra ideologie”. La temperatura entra in gioco solo all’interno di queste dispute. I politici, i media e il pubblico - fuorviati dalla propaganda aggressiva degli adepti della dottrina del global warming – non se ne accorgono. È nostro compito aiutarli a distinguere tra ciò che è scienza e ciò che è ideologia.
Lasciatemi elencare quello che gli economisti, con tutti i loro contrasti, dicono a questo proposito.
1. Gli economisti credono nella razionalità e nell’efficienza delle decisioni spontanee prese da milioni di individui. Essi credono nella “saggezza della gente” piuttosto che nella saggezza dei governi e dei loro consiglieri scientifici. Essi non negano che il mercato faccia errori, ma hanno molte ragioni per credere che gli errori dei governi siano più grandi e con conseguenze molto più gravi. Essi pensano che saltare sul carrozzone della dottrina del riscaldamento globale sia un esempio di serio errore dei governi, un errore che mina i mercati, la libertà e la prosperità del genere umano.
2. Gli economisti, almeno dall’epoca di Frédéric Bastiat, considerano loro dovere mettere in guardia i politici dalle conseguenze involontarie di scelte compiute senza distinguere tra ciò che si vede e ciò che non si vede;
3. Gli economisti hanno a disposizione una sotto-disciplina piuttosto sviluppata che si chiama “economia energetica». Sanno qualcosa a proposito della scarsità, e dei prezzi, e devono mettere in guardia i governi dal giocare troppo con queste entità.
4. Gli economisti non credono nel “principio di precauzione”, ma nell’ “avversione razionale al rischio”.
5. Gli economisti sono ben consapevoli degli effetti collaterali (di qualunque movimento di mercato). Ci hanno lavorato su per molto tempo. È un concetto loro, e di sicuro non l’hanno scoperto gli ambientalisti. Considerano anzi pericoloso che sia maneggiato da mani inesperte. Dopo decenni di studi, non vedono il mondo come un luogo di effetti collaterali negativi a priori.
6. Gli economisti basano i loro ragionamenti sugli eventi intertemporali e su raffinate tecniche relative ai tassi. È stata l’applicazione equivoca dei tassi nei modelli climatologi ad avermi portato a riflettere seriamente qualche anno fa sul riscaldamento globale ;
7. Gli economisti hanno un’innegabile esperienza nell’analisi delle serie temporali. I metodi statistici ed econometrici che si adoperano in economia sono ricchi di modelli sofisticati che non si adoperano nelle scienze naturali, che basano invece i loro metodi soprattutto sull’analisi di campionature trasversali. Gli economisti hanno esperienza dell’imperfetta qualità dei dati, degli errori nelle misurazioni, della sottostima dei dati, della precarietà di ogni tipo di media e di altre caratteristiche statistiche. Sanno qualcosa anche della costruzione di modelli informatici di sistemi complessi, pseudocorrelazioni, sensibilità nell’aggiustamento dei parametri, ecc. Per tutto questo ritengono di avere il diritto di commentare le analisi statistiche dei climatologi.
E quindi:
1. Cominciamo dal costo-beneficio di una riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Gli economisti non vedono la cosa con lo stesso favore degli aderenti alla dottrina del global warming, o riscaldamento globale. Gli economisti sanno che i numeri della domanda e dell’offerta di energia cambiano molto lentamente. Essi vedono l’alto grado di stabilità che esiste tra le emissioni di anidride carbonica provocate dall’uomo, la loro intensità e l’attività economica, e non hanno nessun elemento per aspettarsi un radicale cambiamento in questi rapporti. L’intensità delle emissioni (in quanto macro-fenomeno) si modifica molto lentamente e senza miracoli di nessun tipo. La relazione tra emissioni di anidride carbonica e tasso di crescita economica è forte, e resta forte.
Chi vuole ridurre le emissioni di CO2 deve anche mettere nel conto una rivoluzione nell’efficienza economica (quella che determina l’intensità delle emissioni) oppure cominciare a organizzare il declino dell’economia mondiale. Di rivoluzioni nell’efficienza economica – prendendo un orizzonte temporale sufficiente - non se ne conoscono nel passato. E non ce ne saranno nel futuro. È stata la crisi economica di questi anni a provocare una riduzione nelle emissioni di anidride carbonica (probabilmente temporanea) e non i miracoli tecnologici o le preghiere dell’IPCC. Gli adepti della dottrina del riscaldamento globale dovrebbero spiegare al popolo che mettere in atto i loro piani garantisce il declino planetario.
2. Le relazioni studiate dalle scienze naturali non vengono influenzate da valutazioni soggettive o da comportamenti irrazionali o da scelte compiute dalla gente. Nelle scienze sociali o comportamentali la cosa è più complicata. Fare scelte razionali significa porre attenzione alle relazioni intertemporali e ai costi. È evidente che ipotizzare un tasso di sconto eternamente vicino allo zero elimina dai discorsi degli adepti del riscaldamento globale l’influenza del tempo e una quantità di alternative.
Nei modelli costruiti dagli adepti del riscaldamento globale si immagina di operare con un tasso di sconto molto basso, un modo per colpire le generazioni di oggi e per sottostimare i danni allo sviluppo economico inferto alle generazioni future. Economisti che rappresentano diverse scuole di pensiero, da W. Nordhaus a Yale a K.M. Murphy a Chicago, dicono in modo convinto che il tasso di sconto – indispensabile per qualunque calcolo intertemporale – dovrebbe essere prossimo al tasso di mercato, un 5%, un tasso prossimo al ritorno atteso sui capitali investiti, perché solo quel tasso riflette le reali opportunità offerte da un cambiamento climatico.
Non dovremmo accettare l’affermazione che adottando bassi tassi di sconto «proteggeremo gli interessi delle future generazioni» o che i costi-opportunità sono irrilevanti perché in caso di riscaldamento globale “non esiste un problema di scelta». Questo modo di pensare non-economico o forse anti-economico non può essere accettato.
Per concludere. Sono d’accordo con quello che dicono molti seri climatologi e cioè che il riscaldamento prevedibile sarà molto piccolo. Sono d’accordo con Bob Carter e altri scienziati che è difficile «provare che l’influenza dell’uomo sul clima può essere misurata» perché «questo effetto si perde nella miriade di variabili che determinano i cambiamenti climatici». Fermo restando che non si possono mettere in atto tentativi irrazionali di mitigare l’effetto umano sulla temperatura globale, le perdite economiche connesse col riscaldamento globale saranno prevedibilmente molto basse. Le perdite generate da una lotta senza quartiere al riscaldamento globale sarebbero molto, molto più grandi.
Václav Klaus, La Stampa, 21 Agosto 2012
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